PREMIO PIU’ LUCE! per attori che recitano la Poesia
terza edizione
Liriche 2019 – clicca per leggere la selezione di poesie per la terza edizione del Premio Più Luce!
Poetica
di Paola Veneto
La bellezza e l’incanto della parola pensata e poi scritta, forse mai come nel linguaggio poetico, neutralizzano lo sberleffo del tempo e viaggiano nello spazio con la leggerezza di albatros inciampati solo per un attimo, e per nostra fortuna, nella spugna dell’inchiostro.
E così il nostro Premio compie tre anni, fra voli mai interrotti e planate repentine, pronto a regalarci un’emozione tutta nuova per questo 2019.
Infatti a differenza delle due edizioni precedenti, che hanno visto rispettivamente protagoniste, la prima, una selezione di liriche di ampio respiro, da tutte le epoche e da tutto il mondo, unite dal primordiale e trasversale trasporto per il verso e, la seconda, una serie di sezioni ben definite per tematica, quest’anno vi invitiamo in una torre.
Una torre di quelle ricoperte di rampicanti, con qualche mattone malmesso, difficili da visitare, eppure tremendamente attraenti, protagoniste di almeno uno dei nostri sogni del dormiveglia, che ce lo ricordiamo oppure no.
La nostra torre luminosa è la casa di una selezione di liriche tutta italiana, contemporanea, con un vestito di colore blu instabile, che cambia in base alla luce del giorno e della notte. Un colore che di sicuro investe a tratti le pareti di tutti quelli che sono lontani da casa, che si tratti della casa fisica o quella di un ricordo che taglia il fiato.
Ma attenzione a quel “tutta italiana”: mai come in questo caso l’identità si rivela un paradosso, visto il tema centrale della poetica del Premio Più Luce! 2019.
Quest’anno infatti leggeremo, e sentiremo recitare dai nostri partecipanti, versi che raccontano un sentire comunemente noto come nostalgia, nell’originario senso della parola.
Nostos, ovvero ritorno, e algos, cioè dolore. Il dolore del ricordo, quando questo è perduto; la ferita del ritorno, se non conosce una strada, o, peggio, se questa strada non esiste.
Investiti dal dolore del distacco, dello strappo dello sradicamento, siamo un unico popolo, che procede a fatica e per forza spesso in direzioni che non sente mai completamente proprie.
Com’è facile perdersi, allora. Com’è facile sbagliare. Com’è automatico non credere di potercela fare a stare bene, in una pelle che ci ritroviamo per forza e restare per sempre stranieri, per feroce ironia della sorte alla fine in senso bidirezionale, perché lo si diventa anche per sé stessi e non solo per gli altri quando si è fuori luogo, senza una “casa” sentita come tale.
Nel ricordo, nel dolore del non ritorno delle cose e dei posti dell’anima, ci si ritrova in nessun luogo.
Ed ecco dunque la nostalgia, nei versi dei nostri poeti italiani contemporanei (salvo qualche rara eccezione con un piede nel diciannovesimo secolo), che potrebbero oggi perfettamente descrivere il sentimento di tutti coloro che sono lontani dalle proprie radici, dagli affetti, dalla casa intesa come pace e identità.
L’urgenza di guardare all’Uomo nella sua necessità di radicato che è invece improvvisamente ed ineluttabilmente strappato al sé più ancestrale, si fa in questo periodo storico sempre più pressante. Diversamente, l’intolleranza, l’odio, ma soprattutto l’incomprensione figliastra zoppa di una mancata empatia, produrranno danni cupamente caleidoscopici alla società in rapido e inarrestabile cambiamento.
La parola “nostalgia”, così come oggi la intendiamo, è una parola moderna, coniata da Johannes Hofer nel 1688 in una relazione presentata all’Università di Basilea, “Dissertatio medica de nostalgia”, nella quale il giovane e brillante medico affrontava il tema della malattia che colpiva i soldati svizzeri in servizio presso guarnigioni straniere. Malattia di cui a volte questi ragazzi morivano… e muoiono tuttora, se altri strazi, più immediati, non intervengono prima sul percorso di chi è lontano da “casa”.
A partire da allora ritroveremo questa parola “moderna”, che poggia su radici concettuali antiche invece quanto l’uomo, declinata in tutte le lingue, nel senso che oggi, più o meno, universalmente intendiamo.
La incontriamo però non più considerata come una malattia (anche se a volte effettivamente lo è, seppure chiamata con un altro nome) ma come una condizione che quasi non si può dire, in tempi veloci e “sicuri” come quelli che ci fanno da sfondo.
Come brillantemente sostiene Antonio Prete, “dinanzi a questa condizione, forme di linguaggio quali la poesia e la narrazione mostrano invece come quello a cui non si può tornare possa trovare una nuova presenza. Mostrano come dall’irreversibile possano salire parvenze, immagini, figure con cui dialogare. E come il finito possa rivivere, facendosi ritmo di un dire e di un pensare”.
Ed ecco la bellezza, la scrittura, la poesia, che vengono in soccorso alle gole serrate, quando si è perduti anche se si sta seduti in un posto che geograficamente ha dei margini perfettamente definiti. I nostri alfieri indomabili ricavano un angolo salvo per pensieri esuli e infreddoliti, pronti a riconoscere nel cielo un tetto sotto il quale, se non sarà possibile rifugiarsi, si potrà perlomeno sognare. E restare umani, nonostante tutto.
I marinai della terza edizione del Premio Più Luce! lanciano allora un appello ben preciso in questo vento di primavera: non importa dove sei nato, come sei arrivato qui, se ci sei ancora o se devi andare via. Tantomeno importa se hai dei buoni motivi, reali, per sentire quel blu alla gola.
Non importa se hai superato peripezie degne di Ulisse o non sei mai uscito dalla stanza di casa tua. Hai diritto alla nostalgia, ad aggrapparti alla poesia che regala un posto anche all’irrisolvibile.
La nostalgia fa parte della nostra giovane memoria storica e letteraria più di quanto ci si voglia ricordare, frantumati coi ricordi dei nostri padri fra le luci dell’ennesimo paradiso virtuale.
L’Italia ha conosciuto la guerra, la fame, la povertà, l’ignoranza. L’ignoranza la conosce ancora, ahinoi, ed il poco amore per la lettura anche.
Oggi dunque riprendiamo in mano alcuni classici meravigliosi, altri meno classici ma fortemente nostri ed attuali e stringiamo la mano alla nostalgia, perché è anch’essa una casa, soprattutto per chi si sente straniero, lo sia o meno agli occhi degli “altri”.
Un bicchiere di nostos per tutti dunque, con algos di accompagnamento, tanto non dobbiamo guidare se non i pensieri sui versi. Ma non siam qui per esser tristi!
Noi vogliamo comprendere, vogliamo ricordare. Desideriamo impegnarci sul fronte della diffusione della cultura che include, che ostacola la barbarie perché la fa vergognare di coprire anche un solo raggio di bellezza.
Chi strappa una rosa non ne conosce il profumo, o magari l’ha dimenticato. La poesia non farà nascere rose, né risolverà annosi drammi socio-politici: può però offrire un rifugio a quella nostalgia che se malgestita riesce facilmente a generare mostri, più o meno prevedibili.
Giustissimo e doveroso preoccuparsi delle urgenti tematiche globali collegate ai gravi problemi di questo ventunesimo secolo, ma chi vorrebbe vivere in un mondo che non legge, che non ricorda, che non dà valore a un universale sentire?
Le cose della vita, gli eventi, i drammi, sono fatti da individui e ogni individuo ha una storia da raccontare o, perlomeno deve avere la possibilità di farlo.
Siamo madri, padri, figli, uomini e donne ovunque ci troviamo e la nostalgia è un salvagente dovuto, in alternativa ad un pericoloso e, quello sì, tristissimo oblio.
Citando Cioran “La nostalgia, più di ogni altra cosa, ci dà il brivido della nostra imperfezione”.
Buon brivido allora e che, sempre, ci sia la luna sul cammino notturno di chi porta i fiori.